Clima, come riformare l'approccio politico all'emergenza - Tag43

2022-11-10 15:50:54 By : Mr. Mike Lin

I fondi necessari per contrastare le crisi climatiche ammontano a trilioni, cioè miliardi di miliardi di dollari. Ma i Paesi del G7 sono stati distratti dalla pandemia e dalla guerra. Ecco perché serve un cambio di strategia anche del Fmi e della Banca mondiale. La ricetta per la svolta green.

Invece che riunirsi nel controverso Egitto, in occasione della Cop27, e parlare di promesse che probabilmente non riusciranno a essere mantenute, forse sul clima va proprio cambiato l’approccio. E ripensato il meccanismo di finanziamenti che c’è dietro la lotta al riscaldamento globale, visto che qui non ha particolarmente funzionato, come ricordato da un’analisi su Foreign Affairs. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, per esempio, nel suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni unite nel settembre 2021 si era impegnato a raddoppiare gli aiuti americani ai Paesi in via di sviluppo per affrontare i cambiamenti climatici: puntava ad arrivare a 11,4 miliardi di dollari all’anno entro il 2024. Il presidente cinese Xi Jinping ha fatto una promessa simile sull’energia derivata dal carbone. Peccato che poco più di un anno dopo, nessuno dei due leader abbia dato un seguito concreto a quei buoni propositi: il Congresso Usa non ha ancora stanziato ulteriori fondi e Pechino ha fatto poco o niente in direzione dell’energia pulita. In effetti, i soldi stanziati dal Dragone legati al petrolio e gli investimenti nella Nuova via della seta, il massiccio programma cinese di investimenti nelle infrastrutture, sono più che raddoppiati nel 2021 rispetto all’anno precedente, mentre gli investimenti nell’energia verde sono rimasti più o meno gli stessi, secondo i dati degli analisti della Fudan University.

In tutto il mondo, insomma, i governi, e soprattutto quelli ricchi, non riescono a portare a termine i loro impegni di sostegno economico alla lotta contro il climate change. Alla Conferenza delle Nazioni unite del 2021 a Glasgow era arrivata l’amara ammissione di non essere riusciti a raggiungere l’obiettivo di raccogliere 100 miliardi di dollari da fonti pubbliche e private entro il 2020. E probabilmente questo non accadrà fino al 2023. Non sono soltanto i governi e le aziende private a ritirarsi dai loro impegni. In un evento nell’ottobre 2022, il presidente della Banca mondiale, David Malpass, ha rifiutato di riconoscere che la combustione di combustibili fossili provoca il cambiamento climatico, e non ha nemmeno risposto alla domanda se affrontare il riscaldamento globale sia fondamentale per il più grande istituto di finanziamento dello sviluppo del mondo. Una figuraccia, altro che sostenibilità. Secondo il database dei progetti della banca, sono stati investiti 31,6 miliardi di dollari in energie rinnovabili e 34,4 miliardi nella trasmissione e distribuzione di elettricità da quando è stato adottato l’accordo di Parigi sul clima nel 2015, ma risulta pure un investimento di 18,8 miliardi di dollari in petrolio e gas. La mancanza di una strategia coerente da parte della banca ha indebolito la fiducia dell’opinione pubblica.

Un altro freno alla transizione energetica è stato senza dubbio l’aumento dei prezzi dell’energia. I consumatori sono stati colpiti duramente non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in grandi economie come gli Stati Uniti, dove 20 milioni di persone hanno faticato a pagare le bollette dell’elettricità. Anche in Asia i prezzi del gas naturale liquefatto sono aumentati drasticamente, mettendo in discussione la capacità di Paesi come il Vietnam di eseguire la transizione pianificata dal carbone a un gas più rispettoso del clima. L’invasione russa dell’Ucraina non solo ha accelerato queste tendenze inflazionistiche, ma ha distolto l’attenzione dei leader mondiali (già distratti dalla pandemia di Covid-19) da urgenti sforzi di contrasto del cambiamento climatico. Gli Stati Uniti hanno già impegnato 17,5 miliardi di dollari in aiuti militari all’Ucraina. Solo due terzi di questo importo avrebbero consentito a Biden di onorare la sua promessa sul global warming. Il punto ovviamente non è che gli Stati Uniti avrebbero dovuto lasciare l’Ucraina al suo destino, ma piuttosto che la guerra, insieme a molti altri fattori, ha indotto governi, società e istituzioni finanziarie a ritirarsi dai finanziamenti per il clima proprio nel momento in cui questa spesa era più necessaria.

Il 2022 è già stato un anno di devastanti crisi climatiche. Il Pakistan continua a soffrire per le inondazioni record che hanno sconvolto un terzo del Paese, colpendo 33 milioni di persone e provocando 1.500 morti, tra cui 552 bambini. Una stima iniziale del danno è di almeno 40 miliardi di dollari. A ottobre, anche la Nigeria ha lottato per far fronte a massicce inondazioni che hanno causato lo sfollamento di oltre 1,4 milioni di persone, la morte di oltre 600 persone e il danneggiamento o la distruzione stimati di 440 mila ettari di terreni agricoli, il che a sua volta contribuirà alla scarsità di cibo. E la Cina ha registrato la sua ondata di caldo più grave e la terza estate più secca mai registrata, con tanto di incendi boschivi, perdite di raccolti e carenza di elettricità idroelettrica. Emergenze diventate terribilmente comuni, che hanno spinto i Paesi in via di sviluppo a chiedere un risarcimento per «perdite e danni» causati dai cambiamenti climatici provocati in modo evidente dalle nazioni più sviluppate. Un gruppo dei Paesi più vulnerabili, noto come V20, dovrebbe lanciare un nuovo meccanismo assicurativo con gli Stati del G7 alla Cop27, per stabilire fondi e sussidi prestabiliti per aiutare le nazioni a rischio a far fronte ai disastri climatici. Queste iniziative sono senz’altro lodevoli, ma non saranno sufficienti per tutti, visto che in molti saranno colpiti pesantemente dall’innalzamento del livello del mare.

Lo sforzo globale per rispondere al cambiamento climatico sta dunque andando fuori strada. Nonostante queste catastrofi, molte provocate dall’uomo, siano sempre più costose, le emissioni globali di gas serra continuano ad aumentare. Dopo un breve calo durante l’inizio della pandemia, sono cresciute del 5,3 per cento nel 2021, in parte trainate dall’aumento della capacità di carbone in Cina, India, Indonesia e Giappone. Le emissioni di combustibili fossili sono schizzate all’insù in tutti i principali Paesi lo scorso anno, con la crescita maggiore proveniente dal Brasile (11 per cento) e dall’India (10,5), seguiti da Francia, Italia, Russia e Turchia (tutte circa l’8 per cento). Negli Stati Uniti e nell’Unione europea le emissioni sono aumentate del 6,5 per cento. Questo rimbalzo ha dimostrato che le drastiche riduzioni delle emissioni globali registrati nei primi mesi della pandemia sono stati un fenomeno a breve termine e dovuto quasi esclusivamente alle restrizioni, ai lockdown e ai blocchi delle produzioni industriali. E non sono solo le emissioni di carbonio ad essere aumentate. Anche i tassi di povertà hanno reso la sfida del passaggio all’energia pulita ancora più scoraggiante. Secondo le Nazioni unite, il Covid-19 ha cancellato quattro anni di progressi nella lotta alla povertà, e ora l’inflazione sta causando ancora più difficoltà. Si prevede che nel 2022, fino a 95 milioni di persone cadranno in condizioni di povertà estrema (definita come vivere con meno di 1,90 dollari al giorno). Quasi 90 milioni di persone negli Stati in via di sviluppo che hanno avuto accesso all’elettricità non possono più permettersi di pagare il loro fabbisogno energetico. In molte nazioni la fornitura di servizi di base, come riscaldamento e refrigerazione, avrà inevitabilmente la precedenza sulla riduzione delle emissioni di carbonio.

Per far ripartire la transizione verso l’energia pulita ed evitare uno tsunami di emissioni dai Paesi in via di sviluppo che sono comprensibilmente più preoccupati di impedire che le loro popolazioni ricadano nella povertà che di affrontare il cambiamento climatico, i leader mondiali riuniti alla Cop27 cambiare modo di affrontare il problema. Il precedente obiettivo di 100 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima è quasi ridicolo di fronte ai disastri climatici quotidiani che causano regolarmente danni per miliardi di dollari. Secondo il Fondo monetario internazionale, la reale portata del fabbisogno di finanziamento in tema di riscaldamento globale non è di miliardi, ma di trilioni, cioè di miliardi di miliardi. Tutti i fondi istituiti fin qui per il clima e l’ambiente sono relativamente piccoli. Il Green Climate Fund, per esempio, ha una capitalizzazione iniziale di 10,3 miliardi di dollari e l’Adaptation Fund può contare su poco più di 1 miliardo di dollari. I negoziati all’interno del G7 e del G20 non hanno avuto successo nel muovere un bel po’ di soldi, nonostante la partecipazione dei ministri delle Finanze. Fino a oggi è stato deciso soprattutto di interrompere il finanziamento del carbone e di eliminare gradualmente i sussidi per i combustibili fossili, sebbene da allora molte nazioni abbiano rinunciato a questi impegni sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina. Il G20 è stato paralizzato dalla guerra voluta da Vladimir Putin (sia la Russia sia la Cina sono membri del G20), ma rimane un forum negoziale potenzialmente cruciale per affrontare la questione climatica.

Cosa servirebbe dunque per svoltare? Innanzitutto la riforma delle principali istituzioni di finanziamento dello sviluppo, tra cui la Banca mondiale e il Fmi. Attualmente, queste istituzioni semplicemente non stanno investendo fondi sufficienti per l’energia pulita e la mitigazione dei cambiamenti climatici. Devono mobilitare ulteriore capitale “verde” per i prestiti legati al clima: in questo modo si aiuterebbe a creare una serie di progetti solidi che sembrerebbero meno rischiosi per le organizzazioni finanziarie e il settore privato. La Banca mondiale in particolare dovrebbe essere rivista. Dopo le osservazioni sconsiderate del suo presidente, Malpass, molti azionisti, incluso il più grande, gli Stati Uniti, hanno chiesto una riforma di vasta portata. In un commento al Comitato monetario e finanziario internazionale del Fmi di ottobre, il segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen ha chiesto alla direzione della banca di fornire una tabella di marcia per la riforma che il suo consiglio di amministrazione deve prendere in considerazione entro la fine del 2022. I Paesi in via di sviluppo chiedono per esempio un nuovo meccanismo per l’erogazione di sovvenzioni per la ricostruzione nei luoghi messi in pericolo da un disastro climatico, e vogliono che il Fmi emetta 500 miliardi di dollari per accelerare gli investimenti privati ​​in energia pulita. Richieste così ampie possono offrire un’opportunità irripetibile per modernizzare questi istituti: un processo che dovrebbe essere svolto in stretta consultazione con i Paesi in crescita che sopporteranno il peso della sfida globale del cambiamento climatico.

Ma serve qualcosa di più. Tutte le fonti di finanziamento devono allineare le loro strategie all’obiettivo di una crescita a basse emissioni di carbonio. Questa attenzione climatica nel settore finanziario ancora non c’è, nonostante molte promesse ambiziose e una diffusa comprensione dell’emergenza. Man mano che i danni climatici si accumulano, è sempre più ovvio che certe misure hanno anche sempre più senso dal punto di vista economico. Infine, i Paesi in via di sviluppo devono contribuire anche dal punto di vista politico. Devono cioè pensare, attuare e far rispettare politiche climatiche che canalizzino efficacemente la finanza nazionale e internazionale, pubblica e privata, verso soluzioni ai loro problemi. In questo sforzo, avranno bisogno del sostegno dei Paesi più ricchi: anche le economie avanzate del mondo devono migliorare le loro strategie per orientare la finanza pubblica e privata in una direzione rispettosa del clima. Non è più tempo delle mezze misure: occorrono riforme di vasta portata. In pratica, una rivoluzione per salvare il Pianeta.

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