Nucleare di quarta generazione: esiste e ci conviene?

2022-11-10 17:31:11 By : Ms. Amanda Cheung

Il dibattito sul nucleare si riscalda, anche in vista della tornata elettorale: abbiamo chiesto a Gianni Catalfamo un’opinione informata sul nucleare di quarta generazione, spesso citato dai favorevoli a questa forma di generazione energetica, gli Small Modular Nuclear Reactors (Smnr)

Nell’affrontare il tema ho deciso di riassumere due articoli alquanto ponderosi a firma rispettivamente di Michael Barnard e Paul Martin (consulenti di grande fama e competenza che vi invito a leggere e seguire perché ne vale la pena) a cui aggiungere le mie ormai polverose conoscenze accademiche sperando di risultare comprensibile ai non addetti ai lavori.

Nonostante il mio background, non mi ritengo in assoluto favorevole o contrario all’energia nucleare: chi fosse interessato a capire meglio la posizione un po’ più complessa da cui parto può leggere questo articolo.

Mi sono laureato nel 1982, quando l’Italia era ancora un Paese nucleare; già allora si conoscevano gli enormi costi di un Nuclear Power Plant (Npp), tanto elevati che il costo del kilowattora prodotto è sostanzialmente determinato dall’ammortamento del costo capitale.

Questo fa sì che il presupposto fondamentale di ogni calcolo sul ritorno dell’investimento di un impoianto nucleare sia un Capacity Factor (Cf) quanto più vicino possibile al 100% per spalmare il costo capitale su un numero di kWh prodotti più elevato possibile e ridurne perciò l’impatto.

Ma che succede se – come sta avvenendo adesso per esempio in Francia – il capacity factor di un impianto nucleare si riduce? Succedono due cose:

Visto che una gran parte del costo capitale è legato alla sicurezza e al fine vita (capitolo che molti Stati nucleari hanno spazzato sotto il tappeto, con il risultato di trovarsi dietro l’angolo potenziali costi legati alle loro responsabilità legali dell’ordine di decine di miliardi non accantonati) il segreto, ci dicevano in Università, è lo scale-up: reattori sempre più grandi fino ad arrivare ai colossi da 1.500 MW e più, come Taishan (Cina) o Civaux (Francia).

Ma questa strategia non ha dato i frutti sperati: questi impianti sono così complessi che ognuno è completamente diverso dal successivo e non si riesce a imparare niente, finendo ogni volta in ritardo di anni (Taishan doveva essere il più veloce progetto Epr (European Pressurized Reactor o Evolutionary Power Reactor) del mondo ed è stato commissionato con 4 anni di ritardo, ma ha funzionato solo per 18 mesi prima di essere fermato per problemi al rivestimento delle barre di combustibile e, a oggi, non ha ancora ripreso a generare) e sopra budget di miliardi (Vogtle +16$B, Hinkley C +8£B, Olkiluoto +8€B…).

Ecco allora che qualcuno si è inventato gli Smnr (Small Modular Nuclear Reactor): in fin dei conti, se riusciamo a mettere un piccolo reattore (50-200MW) a bordo di una portaerei o un sottomarino, perché non possiamo far lo stesso per gli usi civili?

Nota importante: quasi tutte queste osservazioni sono tratte dagli articoli citati ma, per non appesantire, non attribuirò la paternità di ciascuna singola affermazione ai due studiosi sopra riportati.

Esistono 57 progetti Smnr a vario stadio di completamento nel mondo, con capacità che oscillano tra 0,5MW e 500MW: alcuni sono allo stadio di prototipo, altri sono a fine vita e altri ancora sono nel mezzo.

Di questi, l’unico che non sia una diretta derivazione di schemi precedentemente esistenti è il doppio Htr da 250MW di Huaneng in Cina; quando entrerà completamente in funzione, potremo considerarlo il primo esempio di reattore di IV generazione.

Anche se ci vengono presentati come fossero un’unica tecnologia, la realtà è che questi 57 reattori sono realizzati su ben 18 schemi di funzionamento diversi: ce ne sono raffreddati a Sodio, a Piombo, Bwr (Boiling Water Reactor), Pwr (Pressurized water reactor), oltre al già ricordato gas caldo e letto di ciottoli; insomma siamo ben lontani da uno standard che si sia affermato a livello globale.

Quasi come fossero auto, telefoni o Pc, abbattendo i costi grazie a una produzione industriale, invece che una produzione sartoriale dove ogni impianto è diverso da tutti gli altri.

Purtroppo la polverizzazione tecnologica vista sopra impedisce che esistano le mitiche fabbriche che sfornano reattori bell’e pronti con dentro anche il combustibile che metto su un camion, li trasporto in loco e li allaccio alla rete elettrica.

Aziende come NuScale promettono 12 unità in funzione entro il 2029 (volumi perciò molto lontani da una produzione di massa).

Ogni Npp (Nuclear Power Plant) è sostanzialmente fatto di due pezzi: un nucleo che genera calore e un impianto di gestione del vapore che lo trasforma in elettricità.

Questo seconda parte è ovviamente molto più industrializzata della prima, anche perché in linea di principio è uguale a quella usata in qualunque impianto di generazione elettrica termico (carbone, gas, olio combustibile).

Per questo secondo pezzo di impianto, è vero (come dicevano i miei professori) che all’aumentare delle dimensioni diminuiscono i costi, facendo aumentare le economie di scala (è la ragione per la quale non costruiamo impianti di generazione elettrica a metano condominiali).

In effetti il numero magico che ottimizza i costi (diametro dei tubi, potenza delle pompe…) sembra essere 1GW, per cui un Smnr da 100MW avrà un impianto termico proporzionalmente più costoso di un impianto da 1.000, non meno.

Nessun impianto nucleare, indipendentemente dalla dimensione, può essere assicurato solo da privati: nessuna assicurazione al mondo è in grado di assorbire il rischio legato a un singolo impianto nucleare senza un tetto imposto dallo Stato alla propria responsabilità, ed è ovvio che i danni che superano tale tetto vengono posti a carico dei contribuenti.

Per dare un’idea della scala, il tetto assicurativo negli Stati Uniti è di 13 miliardi di dollari, mentre i danni derivanti da un incidente come Fukushima sono stimati nell’ordine di 1.000 miliardi di dollari.

Diciamo subito che gli impianti nucleari sono molto sicuri, praticamente solo il fotovoltaico causa meno morti, a parità di energia generata.

Se infine consideriamo il rischio, non tanto di incidente quanto di attacco terroristico, è chiaro che moltiplicare il numero di siti nucleari non può che aumentarlo.

I reattori proposti da NuScale hanno una potenza di 77MW ciascuno, dunque, per rimpiazzare una singola centrale da 1.000MW ne sarebbero necessari 13: dato che il personale addetto alla sicurezza di un sito nucleare tradizionale necessario per gestire i tre perimetri di accesso è di circa 150 persone, c’è sinceramente qualcuno che si sentirebbe al sicuro gestendo gli stessi tre perimetri di un Smnr con 150/13=11 persone?

Questa è la bugia più grossa tra tutte quelle che abbiamo visto: la natura degli impianti nucleari è del tutto antitetica a quella delle Fer, perché modularne la potenza in funzione dell’intermittenza di queste ultime (oltre a presentare problemi di tipo tecnico legati ai tempi di reazione) significa far oscillare enormemente il costo del kWh che producono.

In altre parole, investire sul nucleare impediscse di investire contemporaneamente sulle energie rinnovabili.

La prova vivente è la Francia, che ha una penetrazione di produzione di energia da fonti rinnovabili tra le più basse al mondo.

Mentre è vero che il costo del combustibile nucleare è piccola cosa rispetto al costo capitale dell’impianto stesso, il combustibile è ovviamente ancora necessario. Indovinate un po’ dove si produce l’Uranio (fonte: World Nuclear Association)?

E c’è di più: indovinate quale paese orientale detiene i diritti di sfruttamento delle miniere in Namibia e Niger?

Per chiudere con un paragone sciocco: qualcuno sorriderà nel sapere che c’è 634 volte meno Uranio235 che Litio sul nostro Pianeta.

Tutti sembrano preoccupatissimi che si esaurisca il Litio (che ci basterà per soli 83 miliardi di vetture), mentre nessuno si preoccupa del fatto che potremmo esaurire l’Uranio in meno di centomila anni!

Gianni Catalfamo è ingegnere nucleare e dal 2012 si occupa di trasformazione digitale; nel 2017 ha co-fondato One Wedge, una startup che costruisce reti di caricatori per veicoli a energia elettrica.

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