25 Aprile a Milano, i luoghi dell'orrore fascista e nazista: da Villa Triste a piazzale Loreto. E il parco dedicato ai martiri della Resistenza - la Repubblica

2022-11-10 17:46:06 By : Ms. Sharon Liu

Ci sono luoghi della memoria impossibili da dimenticare. Perché il loro nome fa parte della storia di Milano, città Medaglia d'oro della Resistenza, perché ci sono targhe e monumenti che ricordano gli orrori del fascismo e del nazismo. E ci sono luoghi che, più di recente, sono nati per ricordare e celebrare la lotta di migliaia di donne e uomini per la libertà. Ecco le loro storie, grazie alle ricostruzioni di Anpi e Memoriale della Shoah.

Un indirizzo lugubre, che l'arte e la cultura hanno riportato a nuova vita. In via Rovello 2, dopo l'8 settembre 1943, si installò quella che dal marzo '44 divenne la Legione Ettore Muti, una delle più feroci squadre d'azione fasciste, sinonimo di torture e omicidi. perazioni di rastrellamento in Lombardia e Piemonte. Tra i primi rastrellamenti operati dalla Muti a Milano e in provincia si ricordano quelli di Baggio, di Quinto Romano, di Settimo Milanese. Non poche furono le uccisioni di civili e di partigiani, tra le camere di sicurezza e le celle di isolamento, e le rappresaglie. A comandare la legione l'ex-caporale dell'esercito Francesco Colombo, che assunse poi il grado di colonnello e che ebbe, quale aiutante, il maggiore Bruno De Stefani. Successivamente Francesco Colombo fu nominato vicequestore dal Ministro degli Interni della Repubblica di Salò, Buffarini Guidi. Nel 1947 qui Paolo Grassi e Giorgio Strehler fondarono il Piccolo Teatro: una targa posta sulla facciata del teatro ricorda che nella ex sede della Muti centinaia di combattenti per la libertà furono torturati e uccisi.

In via Santa Margherita 16 angolo via Silvio Pellico l'Albergo Regina il 13 settembre 1943 divenne la sede del quartier generale nazista a Milano, luogo di tortura di partigiani, ebrei e oppositori politici, grazie anche ai collaborazionisti repubblichini. Qui operavano i comandi della SIPO-SD (polizia e servizi di sicurezza delle SS), della Gestapo e dell'Ufficio IV B4, incaricato della persecuzione antiebraica. Il comando interregionale (Piemonte, Lombardia e Liguria) era affidato a Rauff (collaboratore di Eichmann e inventore dei camion della morte, camere a gas su quattro ruote) e quello interprovinciale a Saevecke, condannato il 9 giugno 1999 dal tribunale militare di Torino all'ergastolo per l'eccidio dei 15 martiri di piazzale Loreto, avvenuto il 10 agosto 1944. Saevecke si serviva del cosiddetto macellaio Gradsack e lavorava a stretto contatto con i sanguinari Otto Koch, sottufficiale Gestapo, chiamato dai suoi collaboratori "cucinatore di ebrei" e Franz Staltmayer, detto la "belva", armato di nerbo e cane lupo. All'ultimo piano l'Albergo Regina ospitava le celle di sicurezza. Dall'Albergo Regina dipendeva il carcere di San Vittore. Le liste dei deportati nei lager tedeschi venivano predisposte nella sede delle SS. Nel gennaio 1945 la Polizia di Sicurezza arresta casualmente Ferruccio Parri, anima della Resistenza e vicecomandante del Corpo Volontari della Libertà. Saevecke, conscio dell'importanza della preda, ne ordina il trasferimento da San Vittore all'Albergo Regina dove viene posto sotto strettissima sorveglianza. Edgardo Sogno decide di tentare di liberarlo insieme a Turrina e al medico Stefano Porta. Scoperti mentre sono in procinto di attuare il loro piano, Sogno e Turrina vengono presi. Condotti nel garage dell'albergo vengono sottoposti a un violento pestaggio e a tortura in presenza di Saevecke. Dalle rive del lago di Como verrà prelevato dal capitano americano Daddario e condotto nell'Albergo Regina anche il gerarca fascista Rodolfo Graziani, proprio nei giorni della Liberazione. Qui si arrenderà direttamente agli americani insieme ai tedeschi. Nel 2010 una lapide veniva posta sulla facciata del luogo dove sorgeva l'Albergo Regina.

Il 12 settembre 1943 i tedeschi occupano Milano e le SS requisiscono immediatamente buona parte del carcere. Tre raggi "accoglievano" i detenuti comuni ed erano sotto la competenza italiana e gli altri rimasero sotto il controllo assoluto dei tedeschi: il IV e il VI per i detenuti politici e il V per gli ebrei, in un primo tempo concentrati all'ultimo piano del IV e poi, con il loro aumentare, anche ai piani inferiori. Primo comandante del settore tedesco è dal settembre 1943 il maresciallo Helmuth Klemm, cui da dicembre si affianca come vice il maresciallo Klimsa, poi promosso direttore quando Klemm è trasferito nel febbraio-marzo 1944 alla Gestapo. Sostituto di Klimsa è il caporalmaggiore Franz Staltmayer, chiamato "la belva" o "il porcaro". A San Vittore imperversavano anche due criminali italiani: i tenenti Manlio Melli e Dante Colombo, agenti dell'Ufficio Politico Investigativo (UPI), alle dipendenze del maggiore Ferdinando Bossi. Ma anche all'interno di questo luogo di sofferenza operano agenti di custodia, come Andrea Schivo che per essersi prodigato per alleviare le sofferenze di detenuti ebrei, viene deportato nel lager nazista di Flossenburg, da cui non fa ritorno e suore, come Suor Enrichetta Alfieri e altre 11 suore che fanno ogni sforzo per rendere meno drammatiche le condizioni di vita dei detenuti. Anche alcuni medici si prodigano per venire incontro ai detenuti, come il dottor Gatti che prende servizio a San Vittore il 4 aprile 1944. Accanto al dottor Gatti agisce Giardina, medico delle carceri di San Vittore. E' un attivista antifascista, che collabora dall'esterno col gruppo di Niguarda per favorire la fuga di detenuti politici. Ben sapendo quanto i tedeschi temano il tifo, il dottor Giardina inietta a numerosi prigionieri il vaccino antitifico, provocando così in loro i sintomi della malattia, sufficienti per farli ricoverare in ospedale. San Vittore sarà liberato dai partigiani delle Brigate Matteotti il 26 aprile 1945.

Il campo sportivo di Città Studi fu inaugurato il 29 ottobre 1929, nel settimo anniversario della salita al potere di Mussolini. Qui, tra gennaio e marzo 1945 avvennero fucilazioni di partigiani detenuti e sommariamente processati da tribunali fascisti. Il primo eccidio avvenne il 14 gennaio 1945, quando un plotone del Battaglione azzurro dell’Aeronautica militarefucilò nove ragazzi del Fronte della Gioventù, alcuni operai alla T.I.B.B. e alla Geloso, attivi nella Resistenza: Sergio Bazzoni, Renzo Botta, Arturo Capecchi, Attilio Folli, Roberto Giardino, Roberto Ricotti, Giuseppe Rossato, Giancarlo Serrani, Luciano Rossi. Il 2 febbraio furono fucilati nello stesso luogo i gappisti quasi tutti della 3a Brigata d’assalto Garibaldi Luigi Campegi, Venerino Mantovani, Vittorio Resti, Oliviero Volpones, Franco Mandelli. Un ultimo episodio, ricostruito più di recente, è quello della fucilazione del partigiano Luigi Arcalini, appartenente alla divisione Aliotta, per opera della Legione Muti il 18 marzo 1945.

L'8 agosto 1944 elementi ignoti compirono un attentato con due ordigni esplosivi contro un camion tedesco (targato WM 111092) parcheggiato in viale Abruzzi a Milano. In quell'attentato non rimase ucciso alcun soldato tedesco (l'autista Heinz Kuhn, che dormiva nella cabina di guida, riportò soltanto lievi ferite) ma provocò la morte di sei cittadini milanesi e il ferimento di altri undici.

All'alba del 10 agosto 1944, a Milano 15 partigiani vennero prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi fascisti del gruppo Oberdan della Legione Ettore Muti che agiva agli ordini del comando tedesco, in particolare del capitano delle SS Theodor Saevecke, noto in seguito come boia di Piazzale Loreto. Ufficialmente la strage fu attuata come risposta ad alcuni presunti atti di sabotaggio, come quello di viale Abruzzi, sempre negato dal comandante dei Gap Giovanni Pesce. Saevecke ordinò la fucilazione sommaria di quindici antifascisti e compilò egli stesso la lista. Dopo la fucilazione a scopo intimidatorio i cadaveri furono lasciati esposti sotto il sole dalle 6 di mattina alle 8 di sera, con un cartello che li indicava come assassini. I corpi, sorvegliati dai militi della Muti che impedirono anche ai parenti di rendere omaggio ai defunti, furono pubblicamente vilipesi e oltraggiati in tutti i modi dai fascisti e dalle ausiliarie della RSI. Quell'esecuzione rimase impressa nella memoria dei milanesi: meno di un anno dopo, all'alba del 29 aprile 1945, sullo stesso piazzale i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e di altri 15 fascisti furono esposti a testa in giù davanti alla folla.

L’area dove oggi sorge il Memoriale della Shoah di Milano originariamente era adibita alla movimentazione dei vagoni postali, e tra il 1943 e il 1945 fu il luogo in cui migliaia di ebrei e oppositori politici furono caricati su vagoni merci, trasportati al sovrastante piano dei binari. Una volta posizionati alla banchina di partenza venivano agganciati ai convogli diretti ad Auschwitz- Birkenau, Mauthausen e altri campi di sterminio e di concentramento, o ai campi italiani di raccolta come quelli di Fossoli e Bolzano. Il 6 dicembre 1943 partì il primo convoglio di prigionieri ebrei (169 persone, ne tornarono 5), il 30 gennaio 1944 il secondo, entrambi diretti ad Auschwitz-Birkenau. Soltanto 22 delle 605 persone deportate quel giorno sopravvisse. Tra di loro Liliana Segre, allora tredicenne, che benché così giovane sopravvisse all’amatissimo padre. Tra tutti i luoghi che in Europa sono stati teatro delle deportazioni, oggi il Memoriale è il solo ad essere rimasto intatto. Esso rende omaggio alle vittime dello sterminio e rappresenta un contesto vivo e dialettico in cui rielaborare attivamente la tragedia della Shoah. Un luogo di commemorazione, quindi, ma anche uno spazio per costruire il futuro e favorire la convivenza civile. Il Memoriale vuole essere, infatti, un luogo di studio, ricerca e confronto: un memoriale per chi c’era, per chi c’è ora ma soprattutto per chi verrà.

Esso è dunque un luogo simbolo della deportazione degli ebrei e degli altri perseguitati verso i campi di concentramento e di sterminio. Ma anche luogo di memoria e di conoscenza; un centro polifunzionale dove ospitare incontri, dibattiti, mostre per ricordare le atrocità del passato e, soprattutto, dove creare occasioni di dialogo e di confronto fra le culture e per educare i giovani a superare le barriere linguistiche, culturali, sociali e perché la barbarie del XX secolo che vide nella Shoah il segno del massimo degrado dell’umanità, non possa ripetersi.

In zona San Siro, in via Paolo Uccello 19, dall'estate del 1944 la banda che prende il nome dall'aguzzino Pietro Koch, un ex tenente dei granatieri di padre tedesco e madre italiana si installò a Villa Fossati. Il nome ufficiale della banda era "Reparto speciale della polizia repubblicana". Gli aguzzini agivano soprattutto di notte con false fucilazioni, pestaggi e lusinghe, docce fredde e calde, corde sempre più attorcigliate intorno alla fronte. L'obiettivo che si proponeva la banda era quello di giungere a imprigionare i vertici della Resistenza. A metà settembre del 1944 le camere di sicurezza traboccavano di arrestati. Se Koch arriverà all'arresto di personaggi di un certo peso locale, come l'architetto Giuseppe Pagano (deportato prima a Mauthausen, poi nel lager di Melk dove si spegne il 22 aprile 1945) e il capo gappista Alfonso Galasi, non riuscì mai a mettere le mani su esponenti di primo piano del CLNAI. La sera del 25 settembre 1944 "Villa Triste" venne circondata dalla Muti. Vi fu uno scambio di fucilate che durò alcuni minuti. Dopo la brevissima sparatoria i componenti la banda Koch furono tradotti a San Vittore. I reclusi, invece, rimasero per alcuni giorni nella Villa sotto la sorveglianza della Muti e, in seguito, portati a San Vittore, salvo sei che furono deportati in Germania. L'origine dell'intervento è riconducibile alle indagini avviate da Koch, che godeva della protezione del Ministro dell'Interno Buffarini Guidi, su esponenti di spicco del fascismo. Ciò gli attirò l'avversione di personalità di governo che lo accusarono di illegalità nel trattamento dei prigionieri e ne prepararono la rovina. Ma la spinta decisiva per l'intervento fu la comunicazione del cardinale Schuster che pervenne sul tavolo di Mussolini, con la quale si chiedeva una rapida azione per mettere fine a una situazione che aveva superato ogni limite di tolleranza. Koch finirà a San Vittore per poi fuggire dal carcere aiutato dai tedeschi nei giorni precedenti la Liberazione. Raggiunta Firenze, il criminale italo tedesco fu riconosciuto e arrestato. Trasferito e processato a Roma venne fucilato il 5 giugno 1945. Oggi la villa ospita un istituto missionario.

A Milano sono tanti i luoghi che ricordano chi ha combattuto per la libertà partecipando alla Resistenza. Ci sono le pietre d'inciampo, i memoriali. E due luoghi la cui intitolazione è relativamente recente. Nel 2013 alla Barona è stato intitolato alle donne partigiane il piazzale del centro sociale Barrio's, qui l'anno scorso è stato installato il monumento dedicato alle donne partigiane: si chiama 'Fischia il vento' ed è composto da una serie di campane tubolari che, sollecitate dal soffio del vento, si muovono e fanno riecheggiare la memoria delle donne di cui portano inciso il nome di battaglia. L'installazione è degli architetti Angelo M. Gulino e Claudio Ravazza.

In zona Sud c'è anche il parco della Resistenza, sempre dal 2013, dedicato ai martiri di Tibaldi, seviziati e fucilati da un plotone della legione fascista Ettore Muti il 28 agosto 1944: furono seviziati e trucidati quattro partigiani appartenenti al Gap Mendel: Albino Abico di 25 anni (Medaglia d’Argento al valor Militare), Giovanni Alippi di anni ventiquattro, Bruno Clapiz di anni quarantuno, Maurizio Del Sale di anni quarantasette. Nell'occasione è stato posato anche un monumento commemorativo donato al Comune di Milano dall'artista Antonio Musella.