In Brasile, l’esito del secondo turno delle elezioni presidenziali, in programma il 30 ottobre, « non dovrebbe modificare profondamente la forte dipendenza e asimmetria dei rapporti bilaterali» con la Cina . « La prossima presidenza brasiliana, qualunque essa sia, dovrà necessariamente fare i conti con l’ormai grande influenza che la Cina esercita sul Brasile» . Così Emmanuel Véron, docente e ricercatore della Scuola Navale dell’Istituto Nazionale di Lingue e Civiltà Orientali (Inalco).
La gran parte degli analisti e osservatori concorda e va oltre: che il futuro Presidente si chiami Jair Bolsonaro (candidato uscente) o si chiami Inácio Lula da Silva (candidato ex Presidente), per Pechino non sarà un problema, il suo posizionamento nel Paese è forte e probabilmente non potrà che crescere.
Il motivo è tutto politico. Bolsonaro non è certo il candidato dei sogni della Cina, ma con Bolsonaro, Pechino avrebbe dalla sua un Presidente anti-sistema, destrutturante, il che farebbe gioco nel suo progetto di rimescolamento delle carte dell’ordine mondiale, di determinazione di caos generale nelle relazioni internazionali. Tutto sommato,per Pechino gli affari non sono mai andati tanto bene come sotto la presidenza Bolsonaro, e dal punto di vista politico è una figura che fa gioco. Con Lula, l’autocrate Xi avrebbe a che fare con un Presidente di sinistra, dialogante, ricordato con affetto a Pechino per aver trasformato i legami bilaterali tra i due Paesi, capace forse, ancora una volta, di contribuire alla crescita del gruppo dei BRICS, del quale i due Paesi fanno parte (con India, Russia e Sudafrica), tanto importante in questo momento storico.
I dati economici esprimono chiaramente il rapporto sempre più stretto che Brasilia intrattiene con Pechino e il significato internazionale di tale relazione. Dal 2009, la Cina è il principale partner commerciale del Brasile, prima degli Stati Uniti, il Brasile è il principale partner della Cina in America Latina.
I rapporti tra i due colossi, « illustrano perfettamente l’asimmetria dei legami tra, da un lato, una Cina con una potenza economica in costante crescita da tre decenni e, dall’altro, Paesi e società non occidentali, dove la RPC investe molto», sostiene Véron .
Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi furono ufficializzate nel 1974, nel pieno della Guerra Fredda, il giorno dopo l’ingresso della Cina nell’ONU e durante la dittatura militare brasiliana. Relazioni limitate, inizialmente, «l ‘inserimento accelerato della Cina nella globalizzazione induce una ricomposizione dei legami politici, commerciali e diplomatici. La progressiva crescita degli interessi cinesi in America Latina si è affermata con la svolta degli anni 2000 e l’adesione di Pechino al WTO (2001). Da quel momento in poi, la Cina ha intensificato la sua presa sul continente, a lungo considerato il cortile di casa degli Stati Uniti» .
Nel 2008 la Cina pubblica il Libro bianco sulle relazioni con l’America Latina e i Caraibi. Il Brasile, il più grande Paese dell’America Latina, le cui dimensioni demografiche e geografiche suggeriscono che ha i mezzi per mantenere un ‘rapporto equilibrato‘ con la Cina, sarà al centro delle ambizioni di Pechino nella regione, afferma Véron, ricostruendo la storia di questa relazione. « Il partenariato bilaterale firmato nel 1994 è stato convertito in partenariato strategico nel 2004 e infine in ‘partenariato strategico globale‘ nel 2012 . Dalla metà degli anni 2000, la Cina è stata presente in tutti i settori (agricoltura, trasporti, minerario, spazio, finanza, ecc.) e ha superato, come partner commerciale, i maggiori partner storici del Brasile» , Stati Uniti e Paesi europei. Nel 2000, la Cina rappresentava il 2% delle esportazioni brasiliane. Nel 2020, questo rapporto è salito al 33%, per un volume totale di 68 miliardi di dollari. Idem per le importazioni brasiliane dalla Cina: 2% del totale nel 2000 e oltre il 21% nel 2020, davanti a Stati Uniti (17%) e UE (19%). Complessivamente, tra il 2000 e il 2020, il volume degli scambi di merci passa da 12 miliardi a oltre 137 miliardi di dollari. Le esportazioni brasiliane sono largamente dominate dalle risorse naturali e agricole (a basso valore aggiunto): l’agrobusiness rappresenta quasi il 40% (soia al 35%, carne, ecc.), dall’altro i prodotti esportati sono suddivisi tra minerali (25 %) e olio (17%). Le importazioni brasiliane dalla Cina sono concentrate sui prodotti manifatturieri a più alto valore aggiunto .
Il ricercatore annota come la progressione del rapporto economico sia stata « straordinariamente veloce» e come si sia « concretizzata sotto i mandati di sinistra del Brasile», Lula prima, poi Rousseff.
« Pechino sta sviluppando la sua strategia per l’America Latina con un triplice obiettivo: diversificare le sue fonti di approvvigionamento in risorse naturali e agricole ; incarnare una leadership di sviluppo non occidentale ; s offocare Taiwan », afferma Emmanuel Véron. L’ ‘ effetto Cina ‘ (‘efeito China‘) in Brasile , del quale gli osservatori hanno più volte parlato, per quanto velocizzato, secondo Véron, nel corso delle Amministrazioni Lula e Rousseff, non ha subito scostamenti con le Amministrazioni successive . «Più di quindici consorzi statali cinesi (Sinopec, ChemChina, BYD, CNOOC, COFCO, CGN, ecc.) hanno investito nella maggior parte delle regioni brasiliane, con le poche eccezioni nelle aree di Amazonas, Acre, Rondônia o Pernambuco. Questi investimenti sono accelerati sotto il mandato di Michel Temer (2016-2018), senza che il Brasile, a differenza del suo vicino argentino, abbia firmato un memorandum nell’ambito del progetto Belt and Road Initiative. Durante il mandato di Jair Bolsonaro , che inizia nel 2018, le relazioni proseguiranno , in particolare nel campo dell’export di materie prime», nonostante la pandemia abbia causato una certa tensione, politica soprattutto, tra i due Paesi. La « dipendenza economica del Brasile da Pechino non è mai stata così grande come sotto Bolsonaro », afferma Oliver Stuenkel, professore associato di relazioni internazionali presso la Fondazione Getulio Vargas di San Paolo. Particolare non trascurabile: dipendenza commerciale significa che il rischio di un rallentamento cinese, ora abbastanza evidente, ha un impatto diretto sul Brasile, con il rischio di provocare una grave crisi.
«Gli investimenti riguardano principalmente l’energia (petrolio, idroelettrico, elettrico), ma anche i trasporti o le infrastrutture portuali. Due gruppi cinesi svolgono un ruolo particolarmente significativo in questi investimenti: State Grid, per l’energia elettrica e le reti (50% degli asset in Brasile), collegata a China Telecom e China Mobile; e Tre Gole per le dighe (60% del patrimonio in Brasile)», spiega Emmanuel Véron. «Le banche cinesi (China Development Bank, Bank of China, EximBank, ICBC) concedono prestiti colossali (oltre 30 miliardi di dollari contabilizzati nel 2020) al settore petrolifero brasiliano (società Petrobras) a seguito della scoperta di giacimenti offshore. Molto rapidamente, gli operatori cinesi uniranno le forze con Petrobras nell’esplorazione e sfruttamento, nonché nel supporto per la consegna di infrastrutture petrolifere».
Una relazione molto sostanziosa , forte , e però fruttuosa soprattutto per Pechino , meno per Brasilia . Infatti, dopo anni di vigorosa reciproca soddisfazione, gli industriali brasiliani, gli stessi che hanno goduto di questi rapporti (e ancora ne godono, almeno alcuni), hanno denunciato come « la velocità degli scambi e l’aumento delle importazioni cinesi dal Brasile , hanno rafforzato la deindustrializzazione del Paese. Ad esempio, le esportazioni di manufatti dal Brasile si sono dimezzate tra il 2005 e il 2021. Si assiste a una ‘ riprimarizzazione ‘ dell’economia del colosso latinoamericano, in un contesto di forte dipendenza dalle esportazioni di alcuni prodotti agricoli e minerari», spiega Véron.
Una dipendenza dalle esportazioni nell’agrobusiness che secondo gli analisti economici continuerà nei prossimi anni , qualunque sia l’esito delle elezioni presidenziali . « Il nostro programma di esportazione [principalmente materie prime] è molto incentrato su prodotti di base », afferma Larissa Wachholz, partner della società di consulenza politica Vallya e consulente speciale per gli affari cinesi presso il Ministero dell’Agricoltura brasiliano dal 2019 al 2021. « Ciò in definitiva significa che lo scenario elettorale è meno importante per questi settori, che sono abbastanza resilienti ». Sta di fatto che il Brasile sta affrontando un grave ciclo di deindustrializzazione e da anni lamenta la riluttanza della Cina ad aprirsi alle esportazioni brasiliane di prodotti a più alto valore aggiunto (i dati del Ministero dell’Economia brasiliano mostrano che la soia, il minerale di ferro, il petrolio, la carne bovina e la cellulosa sono 89,5% di tutte le esportazioni brasiliane in Cina nel 2021). Gli uomini d’affari locali si lamentano delle poche tariffe e barriere normative per i prodotti cinesi , in particolare con l’emergere di piattaforme di e-commerce come AliExpress nel Paese, sottolinea Igor Patrick, giornalista brasiliano specializzato in affari cinesi, ricercatore presso il Wilson Center sull’influenza cinese in America Latina.
L’ influenza di Pechino è diventata « strutturata e diversificata », prosegue Véron. La creazione della Commissione sino-brasiliana per la consultazione e la cooperazione (COSBAN) nel 2004 ha contribuito all’intensificazione del partenariato economico, le relazioni si sono estese , dall’emergere dei BRICS alla fine degli anni 2000, a molti altri campi, in particolare i media , l’ esercito , il settore spaziale . Non bastasse, c’è l’ infiltrazione nel tessuto socio-cultural e: una decina di Istituti Confucio sono sparsi in tutto il Brasile; l’apprendimento del mandarino è promosso in tutto il Paese; varie reti (regioni, camera di commercio, partiti politici, ecc.) si sono affermate negli anni; e poi lobbying per la promozione degli scambi tra i due Paesi e un’immagine attraente della Cina; e una diaspora cinese in Brasile sempre più importante. «Infine, nella sua strategia internazionale, il gruppo Huawei ha saputo diversificare le proprie attività e intensificare la propria presenza in Brasile in diversi ambiti: cavi sottomarini, apparecchiature e infrastrutture, vendita di dispositivi fino alla fornitura del 5G, che ha provocato pressioni americane … Ricordiamo che i brasiliani sono, dopo i cinesi, i secondi utenti dell’applicazione TikTok , il che solleva molti interrogativi in termini di protezione dei dati».
« Il rallentamento economico cinese, il ruolo e il futuro dei BRICS, soprattutto in un contesto segnato dalla guerra in Ucraina e le vulnerabilità (ambientali, economiche e sociali) del Brasile sono tutte sfide per il prossimo mandato presidenziale che partirà da gennaio 2023», dice Emmanuel Véron, annotando che g li osservatori sono divisi su chi preferiscePechino. « Le dichiarazioni incendiarie di Bolsonaro nei confronti della RPC (accuse di saccheggio di risorse e posti di lavoro, poi critiche in relazione alla pandemia) non hanno messo in discussione la riprimarizzazione dell’economia brasiliana e di vari attori economici e politici nelle regioni, in particolare nel nord-est, rimangono fortemente dipendenti dalla Cina. Rimane il problema del peso diplomatico e delleambizioni di politica estera del Brasile (adesione all’OCSE per esempio, o politica africana, legami con l’Europa e gli Stati Uniti, posto e rango nel subcontinente). Durante la campagna, i due candidati hanno fatto pochissimo cenno alle questioni internazionali, in particolare ai legami con la Cina. Ma tutti sono consapevoli delle interdipendenze e delle debolezze della reprimarizzazione. Da un lato Lula vorrebbe esercitare una diplomazia proattiva all’interno dei BRICS e lavorare a stretto contatto con i Paesi emergenti, dall’altro Bolsonaro sa di poter contare sull’elettorato dell’agrobusiness brasiliano, favorevole alla Cina» . Tutti e due i possibili Presidenti sembrano comunque ‘costretti’ ad un rapporto costruttivo con Pechino.
Lula è considerato una via per rafforzare i legami tra i due Paesi. La rielezione di Jair Bolsonaro comporterebbe una presa di distanza di facciata del governo brasiliano, che si eserciterà nella retorica conosciuta, e gli affari proseguiranno.
Il crescente isolamento di Bolsonaro in Occidente« offre un’opportunità strategica a Pechino per sviluppare un punto d’appoggio più forte in Brasile e oltre, in alcuni casi a causa dell’abbandono da parte di Bolsonaro dei propri vicini. Mentre Brasilia e Pechino hanno gareggiato per l’influenza in America Latina nei decenni passati, la decisione di Bolsonaro di voltare le spalle alla regione ha facilitato l’impegno strategico della Cina», afferma Oliver Stuenkel. « Se Lula vincesse la presidenza brasiliana,l’isolamento del Paese in Occidente finirebbe, e Pechino affronterebbe una concorrenza molto più intensa per consolidare la sua influenza in tutta l’America Latina» . Per quanto la posizione amicale di Lula nei confronti della Cina non sia destinata a cambiare, anzi. Dopo aver iniziato come candidato alla presidenza su una piattaforma anti-cinese, Bolsonaro è ora diventato, soprattutto, anti-occidentale. Questa tendenza si intensificherà se vincerà la rielezione.Pechino se ne sta accorgendo. E ne è ben soddisfatta immaginandone l’utilizzo.
Molto difficile sia per Bolsonaro che per Lula correggere il rapporto per frenare la deindustrializzazione e la reprimarizzazione dell’economia brasiliana. Sulla base del suo precedente mandato, Lula si è mostrato più propenso al dialogo con Pechino, sottolineano i media brasiliani. È stato durante il suo governo, nel 2009, che la Cina è diventata il principale partner commerciale del Brasile, beneficiando del più ampio contesto internazionale del boom delle materie prime.
« La Cina, in generale, dialoga meglio con i governi di tendenza politica simile a quella che ha in patria» , afferma Marcos Caramuru, ambasciatore del Brasile a Pechino dal 2016 al 2018 e console generale a Shanghai dal 2008 al 2011. Celso Amorim, ex Ministro degli Esteri durante il governo Lula e attuale suo principale consigliere per gli affari internazionali, ha detto a ‘Diálogo Chino‘ che se l’ex Presidente sarà eletto, la Cina avrà un posto importante nella sua politica internazionale.« Riprenderemo le relazioni da dove le abbiamo lasciate nei governi Lula e Dilma, con ottimi partenariati, con un ottimo coordinamento» , ha affermato.
Kelly Ferreira, direttrice delle relazioni internazionali presso la Pontificia Università Cattolica di Campinas, San Paolo, avverte che Lula dovrebbe ricostruire i legami bruciati a causa del rapporto carico di attriti dell’Amministrazione Bolsonaro. « Se guardiamo alla politica estera brasiliana, essa ha sempre avuto dei pilastri, anche durante il regime militare», dal 1964 al 1985. « Il Brasile ha sempre cercato di seguire le norme internazionali, di giurisprudenza, pacifismo. Non facciamo minacce, cerchiamo di mediare, ma c’è stata questa rottura durante il governo Bolsonaro» . Nel sostenere un dialogo più stretto tra Brasile e Cina al fine di espandere gli affari, Wachholz ha affermato che l’attuale turbolenza globale potrebbe rappresentare un buon momento per i Paesi per trovare nuove aree commerciali. « La Cina ha bisogno di partnership più diversificate» , afferma l’ex consigliere del Ministero dell’Agricoltura. Secondo la consulente, negli ultimi anni sono state disdegnate occasioni di discussione e rafforzamento dei legami con i cinesi: « Sono state perse opportunità nel settore della salute [e] dei vaccini» . Questo potrebbe rappresentare un pertugio per Lula per trattare un percorso capace di avviare una riformulazione del corso delle relazioni. Amorim ha dichiarato che un nuovo governo sotto l’ex Presidente Lula aprirebbe nuovi fronti per partnership e investimenti con attori cinesi. « Gli investimenti nell’energia saranno molto graditi. La Cina ha sviluppato molte apparecchiature per l’energia solare ». « La cooperazione del Brasile, del Mercosur o del Sud America con la Cina nell’area della lotta al riscaldamento globale è assolutamente fondamentale ». Tuttavia, l’ex Ministro riflette sulla sua esperienza di negoziazione con i cinesi, aggiungendo che questo è spesso un compito difficile: « Penso che n egoziare con la Cina non sia facile , rompere questo paradigma di noi solo esportatori di merci non è un compito facile , anche su questioni relativamente semplici, come l’olio di soia. Non sto parlando di scienza missilistica, sto parlando di olio di soia. È difficile perché i cinesi, francamente, tendono ad essere un po’ protezionisti nei confronti delle loro industrie », spiega. Anche così, sottolinea che ciò non significa che ci sarebbero conflitti nella relazione. Una nota positiva è venuta da Eduardo Viola, professore di relazioni internazionali presso la Fondazione Getúlio Vargas e ricercatore presso l’Università di San Paolo, il quale ha affermato che la «tendenza è che la Cina sarà sempre più favorevole al controllo della deforestazione », tema caro a Lula già nelle precedenti Amministrazioni e ben presente nel suo attuale programma elettorale. Ebbene, Viola sostiene che un segmento dell’agrobusiness ha già internazionalizzato la necessità di transizione verso un’economia low carbon , « anche se questa non è ben rappresentata nei banchi ruralisti del congresso brasiliano ». « Questa trasformazione dell’agrobusiness , in cui l’incorporazione della protezione ambientale implica una maggiore qualità del cibo prodotto , è di crescente interesse per la Cina ”. In questo potrebbe esserci lo spazio per trattare l’inizio di una inversione di marcia dalla reprimarizzazione .
Le campagne elettorali brasiliane sono dominate principalmente da questioni interne, eppure, in queste settimane, la Cina è entrata nel dibattito elettorale del Paese, sottolinea ‘ The Diplomat ‘. Questo ingresso è stato possibile grazie a Lula, fino ad allora la Cina era confinata nelle «chiassose bolle dell’estrema destra alimentate da Bolsonaro». Lula non ha risparmiato critiche nel suo discorso agli uomini d’affari brasiliani presso la Federazione dell’industria statale di San Paolo (Fiesp). « Abbiamo l’illusione che la Cina stia occupando l’Africa, che la Cina stia occupando l’America Latina », ha detto. « No, sta occupando il Brasile . Sta dominando il Brasile ». A suo parere, la colpa della rapida deindustrializzazione vista in Brasile negli ultimi anni è Pechino , retorica diventata popolare in altri Paesi del mondo e precedentemente riprodotta dallo stesso Bolsonaro, che nel 2018 si è lamentato del fatto che la Cina « acquista il Brasile, invece di comprare dal Brasile ». Quella di Lula potrebbe essere ridotta a retorica elettorale , ma, considerato il passato politico di Lula, potrebbe essere quel che il suo ex Ministro degli Esteri ha anticipato nei mesi scorsi: l’inizio di una trattativa per rimettere sulla giusta carreggiata un rapporto che deve essere di reciproco vantaggio . Igor Patrick, afferma che «sebbene il Brasile sia stato la principale destinazione degli investimenti cinesi nel mondo nel 2021, in particolare nell’agricoltura e nella produzione di energia, i cinesi vedono ancora il Paese come una parte essenziale della loro strategia di sicurezza alimentare , non come una fonte di prodotti altamente sviluppati. Data l’ostilità della comunità imprenditoriale brasiliana e il consenso del governo, è probabile che i funzionari cinesi si sentano ancora più obbligati ad accelerare i loro piani per ridurre la dipendenza dalle materie prime brasiliane (in particolare la soia). I preparativi per questo sono in corso. Nel suo piano quinquennale 2021, la Cina ha fissato obiettivi minimi per la produzione nazionale di soia, richiedendo alle province di produrre almeno 650 milioni di tonnellate all’anno. Il piano prevede anche facilitazioni per l’agricoltura su larga scala e il pagamento di ingenti sussidi ai produttori di grano. Il Ministero del Commercio cinese, scommettendo sull’emergere di nuove superfici a seguito del cambiamento climatico, ha firmato un accordo per mettere in comune le aree di produzione di soia e costruire un’alleanza industriale con la Russia, prevedendo di importarne almeno 3,4 milioni di tonnellate entro il 2024; impegni simili sono stati presi anche con Etiopia e Tanzania». Se il nuovo Presidente non saprà fermare la retorica anti-cinese, riconquistando la fiducia di Pechino, il Brasile rischierà, nel migliore dei casi, importanti scossoni economici per il suo agrobusiness, nel peggiore dei casi, l’impossibilità di correggere la malattia alla base del rapporto che ha condotto il Paese alla deindustrializzazione.
Lunedì 31 ottobre Brasilia avrà il suo Presidente, e Pechino ne prenderà atto, senza particolare ‘emozione’, comunque sarà andata, sarà, se non un successo, ‘comunque, bene così’.
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